Nelle ultime settimane sono uscite un po’ di notizie su Substack, la piattaforma che utilizzo per questa newsletter. I fatti: Substack ha un programma, Substack Pro, con cui recluta giornalisti e scrittori offrendo loro un lauto anticipo in cambio di una loro newsletter sul sito. Tra questi “Pro” ci sono anche dei Coglioni Pro come Glenn Greenwald e altre firme americane che hanno rapporti con i TERFs e hanno fatto commenti transfobici in passato, tra le altre cose.
C’è poi un’altra polemica in corso sul rifiuto da parte dell’azienda di considerarsi un editore, nonostante il fatto che, beh, questa paghi giornalisti e scrittori per i loro contenuti editoriali. Quest’ultimo punto è interessante perché abbraccia un argomento che mi è molto caro: la content-izzazione della cultura, la sua trasformazione in gettoni, marketing, roba da fogli Excel. Substack non è la causa di questo processo, ovviamente (ne è un effetto, al massimo). Ma le sue scelte dimostrano quanto il rapporto tra pubblico e autore, tra publisher e scrittore stia cambiando. Gig economy.
Ma è un argomento che ci farebbe divagare: ci torneremo un’altra volta.
La linea di Link Molto Belli, al momento, è: aspettare e vedere che fa Substack, come cambia e se cambia. Personalmente, non credo che quanto visto finora renda Substack più problematico di Instagram, PayPal o una banca online. (Purtroppo eh, non voglio sembrare cinico.) “Substack è una fregatura perché tutti i media lo sono”, ha scritto qualcuno, e son d’accordo. Credo infatti che questa onda nera sia anche l’inevitabile rinculo di un anno e mezzo passato a gridare “quanto è bella Substack-il-futuro-del-giornalismo”, glorificando una startup californiana manco fosse una Onlus di benedettini.
Substack è una piattaforma. Come le altre. In quanto tale, una volta raggiunta una certa dimensione, deve affrontare la questione della Moderazione dei Contenuti. I nazi. Le fake news. Terfismi vari. No Vax. Quelli che gridano alla “cancel culture”.
Al momento pare che Substack voglia sposare la linea a stelle e strisce della Difesa Della Libertà D’Espressione, non sapendo – o facendo finta di non sapere – che tale diritto viene spesso usato come cavillo legale dalle frange più estremiste per dirottare le conversazioni sulle piattaforme. È successo a Twitter e a Reddit. Ma in generale tutti hanno o hanno avuto un problema simile: Facebook, Instagram, Shopify, Twitter, Reddit, Pinterest, Amazon, PayPal, Stripe, Etsy. Pure Patreon.
Substack fa forse più rumore, più male, perché ha a che fare con le newsletter, gli ex brutti anatroccoli del Content diventati cigni strafighi che fanno le penne in motorino. Un settore che siamo abituati a trattare come periferico e di nicchia (la famosa bolla), e guarda invece com’è diventato grande. Tanto che Facebook vuole buttarcisi, per dire. (Quello sì sarà un problema. Ohhhh sì che lo sarà.)
Quanto a me, qui su Substack ho un piano d’abbonamenti a cui tengo molto e che non vorrei abbandonare, non tanto per avarizia (non mi ha reso ricco, diciamo) ma per la soddisfazione che mi dà. Potrei migrare su Ghost, dirà qualcuno, ma la questione dei costi fissi a quel punto diventerebbe problematica. E se qualche stronzo aprisse una newsletter pure lì, poi, dove vado? Mi date tutti il numero e vi chiamo ogni sabato mattina?
Insomma, per ora continuerò a utilizzare Substack come uso tante altre piattaforme. La tratterò come tale, da piattaformadimmerda, e non da Leggendaria Salvatrice Del Giornalismo. Starò a vedere se l’azienda continuerà a scavarsi la fossa da sola o se farà qualcosa per uscirne. Non confido nella loro integrità, a dire il vero, quanto nella loro brama di essere – tornare a essere – “cool”. Magari funziona.
Sempre vostro,
Pietro
Ottimo, stavo giusto pensando di aprire una mia newsletter personale su Substack (anche per colpa tua e di Vincenzo Marino). Tempismo perfetto.
Oddio, ce ne vuole per definire Greenwald un coglione :/