Si sta facendo un gran parlare di Hey, un nuovo servizio mail a pagamento di cui una parte di Twitter sembra andare pazza. Hey costa 99 dollari all’anno ed è l’ennesima reinvenzione delle email: la grafica è simpatica e ha alcune idee interessanti su come gerarchizzare la posta. Io, che ormai sono vecchio e barbuto, ricordo di altri tentativi simili, tutti più o meno falliti.
È per questo che stai per recensire Hey senza averla provata, Pietro?
Sì.
Le mail sono un problema per milioni di persone. Le inbox esplodono e le cartelle Promozioni filtrano messaggi anche importanti, spingendo sempre più utenti a sognare qualcosa di più, qualcosa di meglio: poveri illusi. Succede dai tempi di Google Wave, il primo servizio creato per distruggere le mail che io ricordi, e recentemente è capitato con Slack, che ha cambiato il lavoro a milioni di persone senza però mandare la mail a rottamare.
(Si dice “ti mando una mail riassuntiva”, del resto, non “ti scrivo su Slack per riassumere il tutto”.)
Così Hey vorrebbe mettere ordine alla soffitta abbandonata ma ancora in qualche modo efficiente che è la posta elettronica. E lo fa creando – rullo di tamburi – dei FEED con cui dividere la posta in entrata. Al posto dell’Inbox c’è l’Imbox (“Im” sta per Important), che è la cartella principale; The Screener è per i nuovi contatti; The Paper Trail per fatture e ricevute; The Feed per newsletter e mail promozionali, che vengono visualizzate in modalità lettura.
Due scenette da Hey.
Un altro candidato all’assassinio della mail è Superhuman, applicazione di gran moda che costa 30 dollari al mese (AL MESE), il triplo di un abbonamento a Photoshop e Lightroom. Si tratta di una skin, ovvero una rivisitazione grafica di un tradizionale servizio mail e, secondo The Verge, è “piena di hype e sopravvalutata”.
Superhuman, soldi spesi bene.
Dentro questi prodotti ci sono anche idee interessanti, eh! Ma mi sono convinto che le mail siano arnesi talmente basilari da non poter essere sostituiti, come un martello in una cassetta degli attrezzi. Semplice e antico ma ancora perfetto.
Prendiamo Google Inbox, app lanciata nel 2014 e smantellata lo scorso anno: era un prodotto interessante che permetteva, tra le altre cose, di posticipare mail e “schedularne” la ricomparsa nell’Inbox, una possibilità che mi cambiò la vita all’epoca. Inbox doveva cambiare Gmail per sempre e invece ha finito per ispirarne qualche modifica, per poi scomparire. Riesumando questo post del 2014 di The Verge respiriamo lo stesso entusiasmo da nuova frontiera che è presente attorno a Hey oggi: Google Inbox fondeva pezzi di calendario e mail assieme, fungendo da organizer definitivo, era mobile first e aveva una grafica piuttosto coraggiosa per i tempi.
Nel 2019 il team di Inbox è confluito in quello Gmail – e si vede. Bene così. Non ne avevamo più bisogno. Modificare troppo un prodotto rudimentale come la posta elettronica genera mostri. Comprereste un martello col Bluetooth al triplo di un martello normale?
Gratuita, fondata su un protocollo rodatissimo che non è di proprietà di nessuna azienda, le mail sono indipendenti, inscalfibili e un po’ sceme, l’ultimissimo baluardo di una internet che ormai non va più di moda.
Ma funziona. Ah, se funziona.
Dio le benedica.
Che afa! Mioddio. Ci rivediamo la prossima settimana, ciao!