Negli ultimi anni abbiamo ampliato il nostro dizionario. Fake news. Post-verità. Filter bubble. Feed. Lemmi che ci sono tornati utili a raccontare il gelido incubo in cui siamo immersi, alla cui lista vorrei aggiungere una nuova parolina che può tornare utile nell’analisi del contemporaneo: Agnotologia.
Di agnotology ho letto solo recentemente grazie a Azeem Azhar, imprenditore e creatore di un’ottima newsletter che tratta temi cari a LMB. Si tratta dello “studio dell’ignoranza indotta”, di come il dubbio, lo scetticismo e tutti i loro figlioli possono essere fatti germogliare sul tessuto culturale di una società.
Vi sembra familiare?
La parola è nata nel 1995 dalle menti di Robert N. Proctor, professore di Stanford, e il linguista Iain Boal (quest’ultimo si occupò del termine stesso, crasi non sapere e -logia: ben fatto). “La produzione culturale d’ignoranza”, come viene definita, è cugina insidiosa della disinformazione, ed entrambe sono più vecchie di Putin, Facebook o Salvini. Se la disinformazione mira a spargere notizie false e pretestuose nella speranza di modificare il dibattito pubblico, l’agnotologia riguarda i metodi con cui un certo argomento può essere indebolito. Siamo alla coltura della confusione.
Un poster di Russia Today (via). Il climate change è un campo molto importante per la disciplina.
Nel suo Agnotology: The Making and Unmaking of Ignorance, Proctor cita l’esempio della lobby del tabacco, che negli anni ‘60 lavorò per nascondere, offuscare e confondere le nascenti prove sui pericoli legati al fumo. “Stavo studiando i metodi con cui le grandi aziende possono diffondere ignoranza per aumentare le loro vendite”, ha spiegato Proctor alla BBC. “L’ignoranza è potere e l’agnotology è l’intenzionale creazione d’ignoranza”.
Tra i metodi di inquinamento culturale studiati ce n’è uno che risulta particolarmente familiare a noi cittadini del ‘20: l’idea che ogni dibattito abbia due punti di vista opposti, che vanno sempre fatti parlare. L’esempio si riferisce alle aziende del tabacco, che alle prove sui danni alla salute causati dal fumo rispondevano con “punti di vista” opposti, togliendo di fatto tempo alle voci indesiderate e mescolando le carte. Lo stesso avviene oggi con i negazionisti del cambiamento climatico, regolarmente invitati da talk show e programmi televisivi a dire la loro, nel nome di una visione perversa del dibattito democratico per cui per dire “X fa male” occorre anche che qualcuno dica “X è una figata”. (Altro esempio: i dibattiti sul fascismo.)
“La creazione di parti è un progetto politico”, scrive la ricercatrice danah boyd, autrice di It’s Complicated. È una forma di controllo, anche, perché la possibilità di scelta viene annichilita: la busta 1 o la busta 2. La terra piatta o quella tonda. Hitler sì oppure no.
In questi giorni ho pensato molto al peso politico di queste pratiche sempre più diffuse. Nonostante riguardi da vicino IL TEMA di questi giorni, l’agnotology rimane una disciplina oscura – o una parola buffa. Impariamo a riconoscerla, che quest’anno sarà lungo e difficile.
Questa edizione di Meraviglie vi ha presentato una parola nuova. La prossima, chissà. Per ricevere Meraviglie, basta diventare sostenitori del carrozzone Link Molto Belli e del suo stanco creatore. Vvb cmq, ciao.