Ciao,
questa è Link Molto Belli e io sono Pietro Minto, spero stiate bene. Oggi puntata speciale: si parla di algoritmi e magliette. Per chi fosse appena arrivato, di solito le cose sono diverse da queste parti, quindi non prendete troppa paura e datemi un’altra settimana di tempo, nel caso. Andiamo!
Le magliette algoritmiche
Ogni tanto apro Facebook.
Che vi devo dire, ognuno c’ha le sue.
Qualche settimana fa, proprio su Facebook, ho notato per la prima volta una pubblicità che voleva vendermi una t-shirt sulla quale svettava il mio cognome, Minto, inserito in uno slogan bizzarro: “It’s a Minto thing, you wouldn’t understand” (“È una cosa da Minto, non la capiresti”).
Ora, io tecnicamente sono un Minto, ma non ho capito cosa volesse dire. Ho fatto uno screenshot, l’ho condiviso con degli amici e non c’ho più pensato. Qualche giorno dopo ho riaperto Facebook (sono fatti miei) e ho rivisto la stessa pubblicità. Consapevole dei dispetti del destino algoritmico, questa volta ho cliccato, finendo su un sito chiamato Bakazon, che sembrerebbe specializzato proprio in magliette strambe. Ho cercato “Minto” sulla sua barra di ricerca per sventargliarne la proposta:
Da notare come dopo i primi tre risultati la ricerca degradi mostrando varianti simili a Minto, quali Minton, Mingo e Mintz. Il sito, quindi, non è di appassionati psicopatici del mio cognome ma fa così con tutti e tutte, usando la meraviglia dei computers per generare grafiche ad hoc per qualsiasi cognome. Leggero sollievo.
Le chiamano Targeted Shirts (magliette targhettizate, c’è anche un subreddit dedicato) e sono una vecchia conoscenza della flora di internet, con esempi spesso sorprendenti come questa sull’intolleranza al lattosio o questa sulle fidanzate dei camionisti.
CLIFFHANGER. Dove andremo a parare con tutto ciò? Lo scopriremo dopo il break!
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Le magliette part 2
Secondo un articolo pubblicato nel 2018 dal sito The Hustle, questi siti “usano algoritmi per generare enormi, quasi illimitate, forniture digitali (alle volte con più di 25 milioni di design), per poi affidarsi alle inserzioni iper-targetizzate su Facebook per raggiungere pubblici di nicchia”.
Magliette simili, quindi, esistono solo in potenza? Forse sono solo dei jpeg che attendono un ordine reale per poter diventare realtà? Non sono sicuro che da qualche parte ci sia un magazzino pieno di magliette per “donne anziane che conoscono le arti marziali cinesi” ma so che ordinando da questo link riceverete proprio quello.
Tornando su Facebook nei giorni successivi, ho visto inserzioni simili che si riferivano a siti diversi da Bakazon (dai nomi lovecraftiani quali “Susuzilys”, “Humilaxi” e “Nunanica”). Il template di base sembra lo stesso, come dimostrano le pagine About dei siti, che risultano identiche (uno, due e tre), a suggerire l’esistenza di una rete di negozi online tutti uguali e specializzati in robaccia targetizzata da regalare a una rimpatriata tra amici, parenti, anziani guerrieri cinesi.
La sensazione è di inoltrarsi in un ambiente sintetico e automizzato, in cui nulla è vero e tutte le aziende, gli utenti, i creator che si incontrano, sono in realtà bot, che è anche un ottimo riassunto della situazione attuale di Meta, forse. A dirla tutta, però, il fenomeno non è però così nuovo.
Nel 2013 la CNN coprì la storiaccia di Solid Gold Bomb, un’azienda che produceva magliette del tipo “Keep Calm and [QUALCOSA]”, sull’onda del successo di quel meme, e che finì col mettere in vendita una maglietta con scritto messaggi d’odio tipo “Keep Calm and Hit Her”. La Solid Gold Bomb tentò di difendersi spiegando di aver usato un programma per generare automaticamente slogan, senza spiegare come lo script fosse finito a celebrare la violenza sulle donne.
Nel mondo dei fumettisti e degli artisti, invece, è noto da tempo che esistono bot di Twitter che “rubano” vignette e disegni di successo, scaricandone i file per usarli su magliette che poi mettono in vendita online in pochi istanti. Notando come questi bot scegliessero sempre le magliette “giuste”, quelle più desiderate dalla community, tempo fa una fumettista ha chiesto ai suoi follower di commentare un suo disegno con la frase: “Lo voglio su una maglietta!”.
Era una trappola, un’esca. Poco dopo, sul sito Toucan Style, spuntò una maglietta con il disegno in questione – che potete vedere qui sotto.
L’impressione, ancora una volta, è di essere stranieri in casa propria: secondo un recente studio, del resto, il 42,3% del traffico web totale sarebbe generato da programmini d’ogni sorta, non da noi umani, e il fatto che esista un network di siti pronto a stampare e vendere magliette con un cognome molto diffuso nel Triveneto conferma la sensazione di uncanny valley.
È una cosa da bot, insomma. Non la capiremmo mai.
Ed è tutto per questa puntata speciale di Link Molto Belli. A sabato prossimo con dei LINKS. Ciaooo.
Ciao Pietro,
Ho notato che le pubblicità targettizzate hanno compiuto un ulteriore passo avanti. C'è una marca che produce indumenti con grafiche personalizzate del tipo: "La mamma migliore del mondo *aggiungi nome*". La cosa angosciante è che ci ha dato. Ha azzeccato il nome di mia madre e mio figlio. Io non ho mai condiviso post familiari e credo che possano accedere al microfono del dispositivo. Sembra assurdo, ma l'unico nome che hanno sbagliato è quello della mia compagna: sulla t-shirt dedicata all'"Amore della tua vita" o roba del genere, compariva il nome Olivia. La mia ragazza si chiama Livia. Io credo che ascoltino.
Scusa la sintassi, sono stanchissimo ma volevo scriverti questa cosa.
Complimenti per la newsletter e buon proseguimento,
Un abbraccio
Leone Santi
Ciao Leo, mega inquietante.